In dialogo con Carl Gustav Jung by Aniela Jaffé
autore:Aniela Jaffé
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2023-04-21T00:00:00+00:00
«Ho incoraggiato Aniela Jaffé ad apportare quanto più materiale possibile perché il testo rimanga il suo libro»
Lâanno precedente, Aniela Jaffé aveva chiesto più volte a Jung se, nella sua ricerca degli ultimi decenni, avesse acquisito un nuovo senso mitologico, dopo che lui, nel suo precedente confronto con le immagini dellâinconscio, aveva riconosciuto di non vivere più nel mito cristiano.1 Jung aveva sempre evitato di rispondere a quella domanda. Adesso però, nelle prime tre settimane del 1959 a Bollingen, egli sâimpegnò a formulare riflessioni e idee relative a un ulteriore sviluppo del mito cristiano.2 Tali riflessioni si spingevano oltre lâimmagine di un Dio creatore e dellâincarnazione del «figlio di Dio» nellâuomo. Lâimmagine del Dio cristiano, da lui intesa come illustrazione delle profondità dellâanima, mostrava una dissociazione e una rimozione del male, cosa che nella politica mondiale contemporanea si manifestava più apertamente di quanto non fosse mai accaduto in passato. Grazie alla possibilità di prenderne coscienza, lâuomo era chiamato a confrontarsi in maniera creativa produttiva con gli opposti di bene e male presenti nellâimmagine divina. Senza prendere consapevolezza di una totalità complessa che includeva anche il male, non si sarebbe potuto trovare una risposta alle forze distruttive che si manifestavano in modo sin troppo palese. Lâautoconoscenza in quanto conoscenza della totalità doveva rendersi conto brutalmente non solo di quanto bene, ma anche di quali infami malvagità lâuomo fosse capace di compiere.
Allâuomo andava attribuito â secondo Jung â un senso eminente: solo la capacità di riconoscere che il mondo diventa «mondo fenomenico», perché «senza una riflessione cosciente esso non esisterebbe; se il creatore fosse cosciente di sé non avrebbe bisogno di creature coscienti».3 In tal senso lâuomo, in virtù della sua capacità di conoscenza, non solo potrebbe attuare «una seconda cosmogonia», ma anche diventare un custode della creazione. Le riflessioni di Jung su questo senso latente dellâesistenza umana che, in una lettera a Neumann, egli definì esplicitamente come unâipotesi, le definì un «mito chiarificatore» sulla ragion dâessere dellâuomo, «mito» che aveva preso forma in lui nel corso dei decenni.4
Alla fine, Jaffé inserì il nuovo contributo di Jung allâinizio del capitolo «Ultimi pensieri». Lo trovò talmente «fantastico» da scrivere che, «nel leggerlo, si trattiene il fiato».5 Con il permesso di Jung, inviò a Neumann una copia di quelle pagine e del capitolo «La vita dopo la morte». Anche questâultimo ne rimase profondamente colpito â a parte qualche obiezione sul contenuto â così comâera stato per i precedenti capitoli a lui noti: «Per me si tratta della cosa più bella che Lei abbia mai scritto».6 Nel suo commento introduttivo, in seguito omesso da Wolff, Jaffé definiva queste riflessioni di Jung come il frutto di una riflessione durata quasi cinquantâanni e come una specie di bilancio dei suoi ultimi scritti Aion, Risposta a Giobbe, Presente e futuro, Un mito moderno e La coscienza dal punto di vista psicologico.7 Con diversi capitoli sul tema: «immagine dellâuomo, immagine di Dio e visione del mondo», nel presente volume In dialogo con Carl Gustav Jung Jaffé ha ripreso ancora una volta lo sviluppo e lâandamento circolare di queste ultime riflessioni junghiane.
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